mercoledì 28 maggio 2014

28.05.2516
Ospedale, Stanza
Poco prima dell’Alba


Da ricordare: “Well, well, well.”


[ Qualche ora prima ]

Sullo schermo dell’holodeck è chiaro il suo viso, con la sigaretta tra le labbra e l’espressione di uno che sa ciò che vuole. L'uomo dei sogni di ogni donna del ‘Verse. Quello che, nonostante tutto, ancora si preoccupa. Lei gli sorride, gli racconta e lo ascolta. Si finge anche una “moglie” contrariata dall'assenza, pronta a preparargli la valigia da lasciare fuori dalla porta. E’ la promessa di una fuga su Greenfield a farle spuntare un sorriso fin troppo solare.

Devo andare ora..
Vado a prepararmi anche io, stasera ho la missione di "adescamento" per il killer. Augurami buona fortuna. [una realtà che cade come un macigno ma che lei spiega come se si trattasse di fare due passi al parco. Poi avvicina le dita alle labbra, mandando un bacio nell'aria.] 
Chiama quando hai finito..  Fai attenzione.. [ Ricambia quel bacio poco dopo portando indice e medio contro le labbra per poi sfiorare lo schermo del c.pad. Chiude, poco dopo, la conversazione anche se lei potrà sentire, di sottofondo, un imprecazione. Che sia per la preoccupazione per quanto dovrà fare quella sera è ovvio.]


_________________________________

Le pareti hanno una curiosa tinta salmonata, via via sempre più scura. Sempre più rossa. Le tende si gonfiano e frusciano, sotto la carezza dell’aria che le attraversa lasciandone schioccare l’estremità in un placido silenzio. Il respiro regolare testimonia l’assoluta calma del corpo disteso tra lenzuola, rannicchiato da un lato con i capelli sparsi attorno come una coroncina. Non ci sono sogni in un sonno indotto come il suo. Non ci sono ricordi ai quali aggrapparsi ma la sensazione, per un attimo, di soffocamento. In un attimo, di pura prepotenza, Emma annaspa in cerca di respiro e spalanca gli occhi, tossendo contro il cuscino. Alza di scatto una spalla, prendendo le distanze con il materasso. Gli occhi si aprono su una mobilia chiara, immacolata. Asettica.
Un ospedale, di nuovo.
Ah, che palle.
Si tocca la fronte confusa, stropicciando palpebre e ciglia con le dita. Siede sul letto poco dopo, con estrema lentezza, scostando da un lato le coperte per sporgere le gambe oltre il bordo. Fissa le braccia alla ricerca di segni, strofinando la pelle con i polpastrelli come se potesse togliersi di dosso la sensazioni di mani estranee a chiuderla in una morsa tenace, spaventosa. Sa, tuttavia, che i segni non sono li. Ce ne sono di diversi tipi: quelli del corpo e quelli dell’anima. Sul corpo ha una traccia, nemmeno tanto sottile, che attraversa il collo sfumandosi di violaceo. Un bel livido, grandioso. Lo vede sullo specchio, quando tasta le clavicole risalendo verso il mento pian piano. Manifesta tutto il fastidio che può, nella sua valutazione critica, e tende in alto il viso per valutarne l’estensione. Che orrore. Sull’anima, invece, resta il sudicio di quella voce che s’è insinuata prima del buio. “Well, well, well.” La colonna sonora della sua scomparsa, probabilmente, se non si fosse messa a lottare come una disperata. Con ogni probabilità è quella che ancora la fa rabbrividire al solo pensiero, assieme a quel senso di impotenza per essersi sentita così vulnerabile ed insicura – oltre che immancabilmente sfigata. Se non fosse stato per i barattoli sarebbe… boh, chissà. Altrove.

Tocca terra timidamente, premendo i piedi sul pavimento gelato. Si alza barcollando un po’, accorgendosi di aver gli stessi vestiti bianco candido della visita precedente. Per un momento l’attraversa il pensiero di bruciarli, dimenticandosene. Invece si incammina verso un ripiano schiacciato contro al muro, dove tutti i suoi effetti personali – i pochi che aveva durante la missione – sono stati raggruppati. Il Torque, che tocca quasi distrattamente recuperando poi le estremità della catenina per indossarlo (come se si trattasse di uno scudo invisibile che la sera prima l’ha protetta, evitando il fallimento). Si rende conto di non avere altro. Niente bracciale – e pur toccando il polso non trova altro che vuoto – e niente orecchini. Solo la pochette, con all’interno il pad. Ne riaccende lo schermo toccando qualche tasto, controllando chiamate perse o messaggi non letti. Lei dovrebbe farla una chiamata. Anzi, due. La prima se la risparmia, sostituendola con un messaggio – non è nemmeno sicura di riuscire a parlare senza la voce arrochita di un fumatore incallito.
Poche parole per rassicurare il destinatario. Poche parole per riassumere l’orrore che ha dovuto vivere – soprattutto se ripensa all’immensità delle emozioni che l’hanno investita.
Poi anche la seconda chiamata diventa un messaggio, a scorrere sulla rubrica per cercare il nome adatto a cui chiedere il “favore”.
Non impensabile ma sicuramente uno tra i più affidabili, sotto tanti punti di vista.


“Sono all’Ospedale, mi vieni a prendere? Devo uscire di qui, assolutamente.”


L’unica incognita sarà la risposta, che attenderà seduta contro il mobile a riflettere su una cosa ancora: il proprio salvatore.
Li ricorda bene quei due occhi nero pece che, per un attimo, hanno bucato il buio divenendo scintille di fuoco. Solo per lei. Esclusivamente per lei. Si è aggrappata alla sensazione rassicurante che promettevano.
Poi tutto s’è fatto nero, profondo e silenzioso.
Nel delirio dell’incoscienza l’unica cosa alla quale ha saputo pensare è stata: neri, non azzurri. Non erano occhi azzurri



giovedì 22 maggio 2014

22.05.2516
Blue Sun, Stanza
Notte

Da ricordare: “….”



Alla fine lo faccio per me, non solo per il lavoro.
E’ sempre tutto troppo difficile.
Anche se, accidenti… mi è sembrato di morire, per un attimo.

Fino a che ho avuto compagnia non ci ho pensato. Non molto, almeno.
Adesso però, con il ritorno del silenzio, ci rifletto così intensamente che posso quasi sentire le rotelline girare nella testa.

Toccare il braccialetto che mi ha regalato Greif sta diventando un’ossessione, un tic nervoso. Finirò per spaccarlo, già lo sento.

Ma è la rabbia che sento ancora, come una morsa violenta contro nervi e cuore.
L’ho guardato negli occhi ed in quel solo momento ho voluto potergli leggere l’anima.
Però l'ho fatto scappare… perché fondamentalmente sono un’idiota.
Questo non cambierà con il Genetic, anzi… peggiorerà ancora, ne sono sicura.

Ho pensato di riuscirci, con così tanta determinazione da sentirmi invincibile.. anche solo per un attimo.
Le certezze si sono sgretolate quando ogni volto è svanito dalla mia stanza, lasciandomi fare i conti con la decisione che ho appena preso: diventare un bersaglio piuttosto facile da centrare.
Lo devo fare per loro, per tutti quelli che hanno qualcuno da proteggere.
L’ho visto negli occhi dello Yiji. Era li il timore per l’incolumità dei suoi colleghi.
E l’ho visto sul dolce viso di Ginie, fin troppo preoccupata per tutti.

Io non ho alcun legame evidente, che possa vantarsi alla luce del sole.
Nessuno sa.
Nemmeno quell’abominio che ci segue e ci osserva tutti.
Quindi che differenza fa? Posso farlo io, tranquillamente.
Forse continuando a ripetermelo ne sarò convinta anche io alla fine.

Ho troppe cose alle quali pensare, ma almeno lo faccio in maniera ordinata.
Partiamo dai due mazzi di chiavi, quello dello studio ed… il suo. Già, il SUO
E’ un metallo freddo quello che passa sotto le dita. Debole, invece, è il tintinnio quando lo sposto da una parte all’altra sopra le coperte.
Alla fin fine, però, è sempre il pad che guardo, in attesa di una risposta che non credo arriverà troppo rapidamente.

Vorrei uscire a fare due passi, a prendere un po’ d’aria.. ma sono certa che provarci mi farebbe schiantare faccia a terra dopo un paio di giri a vuoto.

No, meglio restare qui ed aspettare l’inevitabile incontro tra me, gli aghi e le cinghie… e quegli aggeggi infernali che ruotano e fremono minacciosi.  



martedì 29 aprile 2014

28.04.2516
Ristorante Eden
Ore 14.00


Da ricordare: “Sarò sempre pronto a difendere l'onore della mia donna.




E’ quasi dolce il profumo del mare che ci sfiora.
Fresco, frizzante e pieno di vita.
La scoperta del ristorante è una vera sorpresa. Eppure, per quei pochi minuti iniziali, non ho fatto altro che chiedermi con chi ci fosse venuto. Quanti pranzi, quante cene spese a guardare il bel volto di qualche donna che non sia il mio.
Ho provato a non chiedere, per la paura di sapere, ma alla fine trattenere la domanda è stato più difficile del previsto.

«E' bello qui Come l'hai trovato?» No, non voglio proprio saperlo. «Non importa.»
«Me l'hanno consigliato i miei colleghi.»

Voglio crederci, non chiedo altro.
Forse però avrei dovuto dirgli di aver già pranzato. Spiegargli, inoltre, che il solo odore di cibo nell’aria mi fa girare la testa e venire la nausea. Invece no: per quel poco che posso vederlo stringo i denti e vado avanti con un sorriso.
Ma ci penso, fin troppo, e quando è ora di scegliere cosa ordinare cedo al panico.
Avviene tutto abbastanza frettolosamente: cameriere – vino. Cameriere – cibo.
E basta.
Poi mi fermo a fissarlo, a lungo.
In quel momento capisco che mi è mancato parlargli, che ho bisogno del suo appoggio.
Mi ritrovo, senza sapermi fermare, a confessargli qualsiasi paura e progetto che ho in mente.
Cerco con lui una soluzione.. ma la verità è che prendo per oro colato tutto ciò che mi dice.
Soffermandomi su una cosa, in particolare, che ha il potere di cambiare la giornata.. e la vita intera.

«Sarò sempre pronto a difendere l'onore della mia donna


There’s no one quite like you
You push all my buttons down
I know life would suck without you
And you make me so mad I ask myself
Why i’m still here, or where could I go
You’re the only love i’ve ever known
It must be true love
Nothing else can break my heart like true love
True love, it must be true love
No one else can break my heart like you
Why do you walk me off the wrong way
Why do you say the things that you say
Sometimes I wonder how we ever came to be
But without you I’m incomplete.



giovedì 24 aprile 2014

24.04.2516
Base Alleata
Pomeriggio

Da ricordare: “….”


Io ti penso amore
Quando il bagliore del sole
Risplende sul mare.
Io ti penso amore
Quando ogni raggio della luna
Si dipinge sulle fonti.
Io ti vedo
Quando sulle vie lontane
Si solleva la polvere

Ho perso il conto dei giorni.
Delle ore.
Delle parole.

Non dei momenti che ho vissuto, però.

Di una sera, dopo un furioso litigio.
Di un viaggio in moto, di una scusa per non essere disprezzati per ciò che si fa – o per ciò che si è.

Di una notte, che ho vissuto con la leggerezza dell’eternità. Fino al risveglio, ad uno sguardo, ad un “piccola” sussurrato tra i fruscii delle lenzuola. Al calore di un abbraccio ed alla morbidezza di un bacio che ho cercato disperatamente come aria.
«L'anima non te la posso dare.. Te la sei già portata via.»

Di una visita, vissuta con il peso di una speranza che il lavoro mi ha tolto, progressivamente, lasciandomi senza fiato.
«Lei ispira fiducia, Caporale McKindley»

Di un regalo, inaspettato.

Di un suono, inquietante, che ha strisciato sulla pelle strappando con forza ogni briciolo di sicurezza. Dell’annegamento, per ogni nota tesa nel buio. Del movimento di quel dannato archetto.
Del violinista del Diavolo.

Di una mattina al parco, della complicità. Di tutto ciò che potrei voler dalla vita.. ma che inevitabilmente sfugge come sabbia dalle mani.
«Ci sei già, Emma.. Anche quando non ci sei.. Sei qui..»

Di un amico e confidente. Di uno scudo, un campione, che ha racchiuso la delicatezza delle sue parole nella corolla di una rosa bianca.
«In quanto a questo tu sei unica, speciale... Una rosa bianca in un campo di rovi»


Di una speranza, un cambiamento.
Di un progetto realizzabile.

Di un pomeriggio, quello di oggi, che mi ha affossata. 
Allora è davvero una maledizione. 

Io sono con te
Anche se tu sei lontano
Sei vicino a me
Anche se tu sei lontano
O fossi qui



giovedì 3 aprile 2014

01.04.2516
Base Alleata
Notte

Da ricordare: “…”


"Oh, she got both feet on the ground
And she’s burning it down
Oh, she got her head in the clouds
And she’s not backing down"

L’acqua scorre da un po’ ormai, abbastanza calda da arrossare la pelle e da cancellare le tracce di fatica e tensione di un’intera giornata.
E’ un rumore continuo della doccia, l’unica cosa che si sente.
Incessante, martellante e quasi ipnotico.
Deve essere passata almeno una buona mezz’ora da quando sono arrivata; a volte si perde la cognizione del tempo.
Solo le mani, poggiate contro la parete, conservano la freschezza del contatto perso con il resto. Sono venate di rosa e rosso, dal dorso fin verso i polsi, dove le sbucciature delle nocche irritate testimoniano un recente “allenamento”, più utile a scaricare i nervi che a mantenere il fisico.
I capelli non sono che un velo di fronte al viso, chinato verso il basso, a trattenere vapore e respiro. A soffocare.
Dalle ciglia cadono gocce spesse, infrante sul pavimento dove lo scarico, più in la, trascina via tutto.
Quasi mi vergogno a dirlo ma, si: ho preso a pugni un sacco.
Spalle, schiena e gambe: diamine che male che fa.
Per due ore, però, ho smesso di pensare a qualsiasi cosa.
Ed è stato utile, fino alla fine.
Fino a quando, con le dita intorpidite e le ossa tutte scricchiolanti, non ho fatto ritorno in camerata.
Controllare il cortex è stato immediato, trovandolo spento e silenzioso.
Nessun messaggio.
Allora ho riletto quelli vecchi ed il senso di vuoto è tornato, più opprimente.


Appena ho un attimo vengo a rapirti, promesso.

Non promettere niente, sappiamo entrambi che non puoi farlo.
Dimmi solo che ci proverai, 
che prima o poi quelle due ore me le concederai... 
ed io continuerò ad aspettare.
Quel giorno ho detto "si" anche a questo.

Ci proverò...



Ci proverò.
Ci proverò.
Ci proverò.

Più lo ripeto meno ci credo.
Ed è frustrante, semplicemente.
Quando si dice “spaccare il cuore a metà”: sembra letterale!
Razionalità ed istinto, è tutto riassunto li. Semplicemente.
Razionalmente dovrei lasciar perdere.
Istintivamente no, non riesco a negarmelo.
Ecco perché vado avanti, come un’idiota, a contare i giorni e le false promesse.
Forse perché, in fondo, a qualcosa credo ancora: nella sincerità delle intenzioni.

E’ tutto quello che mi basta.




Dall'altra parte, invece?
Silenzio.



"Everybody stands, as she goes by
Cause they can see the flame that’s in her eyes
Watch her when she’s lighting up the night
Nobody knows that she’s a lonely girl
And it’s a lonely world"




domenica 30 marzo 2014

29.03.2516
Gazebo
Ore 21.00

Da ricordare: “Tu hai di me, ed avrai di me, ciò che di me vorrai, quando vorrai...”



E’ una di quelle serate che si trascinano nell’incertezza… come se, nonostante tutto, ne conoscessi la fine ma – a ragione – te la negassi per paura degli errori.
Ho accettato l’appuntamento consapevole di andarci con molte riserve. Moltissime.
Il nervoso è sempre li, latente ed inestinguibile.
Penso anche alla ritirata strategica, soprattutto quando il suo massiccio profilo è li all’orizzonte, in attesa.
Mi ci vuole un enorme sforzo di volontà per ricacciare il fastidio e sotterrare l’ascia di guerra, nascondendomi dietro tutta la calma che negli anni sono riuscita a costruire come unica barriera.
Piano, passo dopo passo, fino a sfiorare i primi gradini del Gazebo, entrando nel suo territorio.
Ed allora lo vedo: mi sembra tranquillo.
Quasi troppo.
L’esordio è dei più infelici e piatti che possano esistere: “Volevi vedermi..”
Lo volevi tu, ed io… forse.

I convenevoli passano rapidamente ed alla fine mi ritrovo in silenzio, senza sapere cosa dire.
Mi agito, ovviamente, ma l’ansia scema quando vedo il fiocco di un regalo. Un regalo per me.
Sono così stupita che è difficile non notarlo; non me lo aspettavo, è ovvio.
Il nervoso si scioglie pian piano, con iniziale riluttanza, cedendo il posto ad una serenità di fondo che mi strappa un sorriso. Ben più d’uno in realtà.
Tutto perché sembriamo due idioti, tu ed io. 
A parlare di differenze, a fare paragoni, a definire i lati di un triangolo che non mi sono scelta volutamente… ma che ho semplicemente accettato e desiderato, dopo.
Quando l’ho capito? Da un po’.
Dal fatto che pensare alla separazione mi fa star male.
Dal fatto che se dovessi scegliere come vivere vorrei farlo esattamente così, con entrambi.
Però ogni cosa devo spiegartela, come si fa con un bambino.
Stranamente, però, non mi pesa.
E’ ciò che voglio: farmi capire.


«E' vero, sei massiccio. Enorme, certamente pesante, ed in un ambiente come quello dell'altra sera sei un pesce fuor d'acqua.  Ma è anche vero che la sensazione che trasmetti a chi ti sta attorno è di totale sicurezza e protezione - almeno per quelli che ti conoscono abbastanza da non temerti.  Quindi si, usare l'aggettivo "bello", con te, è giusto. Perchè sei bello, dentro e fuori. Questo è ciò che penso io. E sono qualificata per poter riassumere il pensiero di molte, moltissime persone.»

«Quindi ti faccio sentire protetta? Ma io attiro i guai e le pallottole, Emma, sono una calamita per i casini... dentro e fuori, addirittura. Ma stai dicendo sul serio?»

«Al di la delle pallottole o meno che puoi attirare.. Resta il fatto che, anche in un possibile scontro a fuoco, pericolosissimo, sapendoti con me non avrei alcun problema ad affrontare le conseguenze. Ma credevo che ti fosse già chiaro.. questo.»


In questi momenti vorrei strozzarti.
Se avessi la forza fisica per farlo lo farei.
Spiegarti ciò che provo però non è difficile, ogni parola scivola lenta e calma.
Un discorso che, probabilmente, avrei dovuto fare da tempo.
Possiamo riassumerlo in pochi concetti fondamentali, che mi ripeto da quando te li ho detti.


« Ed ora, per quanto sciocco ed egoista possa sembrare, mi basta. E' tutto ciò che desidero. Poter avere ciò che avete da dare, indistintamente: che sia uno sguardo, una confessione, o la richiesta di un consiglio. Fino a che non riuscirò più a sopportarlo.. ed allora, solo allora, scomparirò per lasciarvi alle vostre vite, cercando la miaPerchè sono succube di qualcosa che non posso controllare. Ed, allo stesso tempo, per quanto possa distruggermi non riesco a farne a meno.»

«Non voglio che scompari dalla mia vita, voglio che tu sia cucita addosso a me, piccola. Noi due siamo legati, non c'è altro da dire. Tu hai di me, ed avrai di me, ciò che di me vorrai, quando vorrai.»





venerdì 28 marzo 2014

27.03.2516
Giostre
Ore 20.00
Da ricordare: “… Resti con me?...”


Giostre, musica e luci.
Si torna bambini in un lampo.
Tra le risate, e lo scampanellio di cavalli e navi spaziali che girano continuamente sulla piattaforma, sorrido come una bambina.. e si: mi sento sciocca.
Esposta e vulnerabile, tuttavia soddisfatta e serena.
E’ quello l’effetto che fa, anche per quel solo sorriso che mi riserva indicandomi la giostra.

« Del resto abbiamo detto che sei quasi una ventenne con qualche anno in più di esperienza. Io sono un ventenne con quasi quattordici anni di esperienza.. Eppure mi diverto ancora li sopra..»

Salirci è facile.. scendere un po’ meno.
So già che sarà una serata diversa, dove si è sé stessi solamente.
Ecco perché esprimo un desiderio, uno di quelli inconfessabili che dovrebbe restare chiuso tra idee e pensieri.
Lo guardo, soprattutto, perché ho bisogno di leggere il “si” prima di sentirlo scivolare via dalle labbra. O forse ci spero, ecco.

« Mi è permesso azzardare un desiderio?»
« Dipende dal desiderio. Chiedi..»
« Resti con me? »
« Resto con te, tutto il tempo che vuoi. Resto fin quando non ne avrai abbastanza di me..»
« …avrò bisogno di una maglietta. Per stanotte. »

Scegliamo la carrozza.
Tra i laterali alti, e la musica che copre i bisbigli, mi mostra un regalo. Un regalo per me.
Un gioiello.. anzi, due in realtà. Orecchini. Chiedergli di mettermeli è solo una scusa, lo ammetto. Mi da l’opportunità di guardarlo, di ridere delle sue battute e, specialmente, per quel suo autocelebrarsi del tutto ironico che mi strappa ben più di un sorriso.
Il bacio seguente è diverso.
I secondi baci sono sempre diversi.
Affamati, istintivi.
Impetuosi.
Ti tolgono il respiro rendendo il cervello lento.
Ma è proprio quella la sensazione che mi piace: lasciarmi trascinare via, senza pensarci.
So però che sarà difficilissimo mantenere la promessa.. il rischio, però, ho intenzione di correrlo comunque. So che ci tiene.
Lo so.
O lo spero?



27.03.2516
Albergo
Notte


Si può sentire il timido fruscio delle lenzuola, ogni volta che si muove.
Piano, cautamente, con il timore di sentirlo irrigidirsi e fuggire.
Ma lui non c’è, non più.
La sua parte di letto è calda e lui è poco più in la, assorto.
Lo stato di dormiveglia perdura fin tanto che resta il silenzio. Le dita stringono il bordo del cuscino, la gamba si piega scoprendosi.
Non sente freddo, solo la mancanza di qualcosa.
L’alba però arriva troppo in fretta, spegnendo qualsiasi speranza di una notte che duri in eterno.
I sensi si risvegliano al minimo contatto, prima ancora che gli occhi, riaperti sul mondo, inquadrino il suo viso ed il sorriso che nasce sulle labbra qualche istante dopo.
Un’espressione contagiosa, sincera e pura.
C’è ancora il tempo per accarezzargli il braccio, poi il viso.
Senza parlare poiché, nel suo sguardo, coglie l’inizio di un arrivederci.

« Siamo stati bravi. »
« Si, decisamente. Quasi troppo. »
« Ma ora devo andare.. »

Lui può vedere lo sguardo cambiare, adombrarsi, sebbene le labbra restino distese in un accoglimento placido della notizia.
Lo sapeva già.

« Ci vediamo stasera. »
« A stasera. »

Perdendo tempo a guardarlo vestirsi, senza dirgli nulla. Sarebbe sciocco, oltre che estremamente egoista, chiedergli di restare ancora. Sta per girarsi, nella speranza di riuscire a dormire ancora un po’, ma lui si avvicina.
Il terzo bacio è diverso.
Di nuovo.
E’ unico e lento.
Sembra tanto una promessa.


"I know that we were made to break

So what? I don’t mind"




martedì 25 marzo 2014

24.03.2516
Bolden Sax
Ore 20.00

Da ricordare: “… Perché è ciò di cui hai bisogno…”



L’atmosfera che ti accoglie è quella tipica degli anni Venti.
Passata.
Perduta.
Piena di fumo, di musica e chiacchiere.
C’è gente, troppa.
I visi non sono nitidi, hanno i contorni sfumati e grigiastri delle sigarette che si consumano tra le loro dita.
Le risate iniziano a spegnersi una volta raggiunta la musica, vivace ed allegra.
Guardano tutti verso il palco, ammirati.
L’ho fatto anche io, ben sapendo chi avrei trovato al piano.
Sono stata una di quelli che, a fine esibizione, ha battuto le mani fino a farsi male, preda di un entusiasmo incontenibile.
Il resto sembra essere accaduto più in fretta. Un baciamano, un’occhiata, ed in quell’unico momento ho scorto la gioia di un ragazzo senza problemi, emozionato. Semplice e diverso.

« Sei uno splendore.. »
« Tu sei eccezionale..  Stasera ti rubo alla folla..»
« Sono tutto tuo per… Due ore e mezza.. »

So già che è un tempo limite ma non importa.
Penso a ciò che voglio chiedere distraendomi con l’ordinazione e con il pacchetto di sigarette che gli sottraggo; riuscirò a farlo smettere, prima o poi.
La domanda sorge spontaneamente, spinta più dalla curiosità che dall’urgenza: Quanto in fretta ti stanchi delle donne che ti interessano? 
Le risposta è dura, secca. Immediata: “Molto in fretta, Emma”
Non so perché ma la cosa non mi stupisce.
Vado avanti, lo fisso.
Insisto.

« Passo metà delle mie notti tra le braccia di qualche cliente. Non me ne lamento. L'ho scelto io. Ciò non toglie che sono le tue le braccia tra cui vorrei dormire. Non lo voglio se non è quello che vuoi tu. Non ti ho mai forzato nel fare le tue mosse. Ti sto dando la possibilità di scegliere senza fretta cosa è giusto per te. Se vuoi andare. Se vuoi rimanere. Non ti posso promettere niente.. » 

E’ in quel momento che capisco di poter fare qualcosa.
Posso promettergli l’alternativa, senza riserve.

« Io invece una cosa te la posso promettere.  Rappresento una sorta di.. evasione. Sono un po' come la tua ora di libertà concessa in carcere.  Questo è ciò che mi basta.  Mi hai chiarito più volte che il tempo passato con me è diverso. E'.. gratuito. E' semplice. Non ti da obblighi, non pretende niente. E' tuo, così.  Può continuare ad essere una zona franca, esclusiva. Una zona nella quale puoi suonare per divertirti.. dove puoi bere -poco- ma non fumare..  E dove, occasionalmente, potresti d o r m i r e .. .. con me. Perchè sapresti di non trovare tra le mie braccia ciò che ogni cliente ti darebbe. Sapresti di avere qualcosa di.. diverso. »

Lo accetta.
Lo vuole…
…. Perché è ciò di cui ha bisogno.